di Klaus
4 settembre 2004, il sole è appena tramontato, sto tornando a Roma dalla festa dei Briganti, sull’autostrada appena dopo Ceprano comincia a piovere, mi fermo sotto un ponte dove è gia ferma un’altra moto, Una BMW GS con due persone, li saluto, non mi metto a tirare fuori l’antipioggia tanto sono nuvole passeggere che tra pochi minuti andranno via.
Tiro fuori le sigarette dal gilè di pelle già un po’ umide e mentre me ne accendo una mi torna in mente che una ventina di anni fa….
Giro la chiave, una leggera pressione sul bottone rosso e la bestia si sveglia, il motore comincia a girare, prima singhiozza un po’ poi il battito si stabilizza e la strada mi chiama.
Lascio la frizione accelerando più del necessario ed esco dal condominio scavando sulla ghiaia un solco che, il portinaio nel suo delirio di ordine spianerà accompagnando i suoi gesti con tutta una serie di parolacce contro i giovani disfattisti, perché quando c’era lui….
La mattinata è perfetta, il sole di fine settembre è già alto ed il cielo è di un azzurro leggermente sbiadito.
Il mio California 850 T3, nonostante i quasi centomila chilometri sulle spalle, fa ancora la sua figura. Il bianco e il cromo, la voce piena delle Lanfranconi… Certo qualche punto di ruggine c’è, gli ammortizzatori sono finiti e la frizione a caldo strappa, ma oggi l’amo come non mai.
Sto andando ad Orvieto, dove mi ha invitato una ragazza che ho conosciuto a Tarquinia, nello stabilimento dove facevo il bagnino fino alla settimana scorsa, quando si è chiusa la stagione balneare; sono anche iscritto all’università, ma avendo i brevetti lavoro come istruttore di nuoto e assistente bagnanti.
Ho preso l’autostrada verso Firenze e viaggio rilassato con la lancetta del contachilometri fissa sui centoventi, c’è poco traffico e rimango quasi sempre nella corsia di sorpasso.
Affianco un “maggiolone cabrio” con due ragazze dentro che mi salutano e dicono qualcosa, ma il vento si porta via le voci e non capisco, comunque gli mando un bacio e le sorpasso.
Nella mia sindrome di autocompiacimento immagino come possono avermi visto, la bellissima moto e io, nello splendore dei quasi novanta chili costruiti tra piscina e palestra, con i jeans sbiancati dall’uso e dai lavaggi, i camperos ingrassati diventati bruni con le sfumature violacee, il chiodo di pelle nera giustamente attillato per far risaltare il fisico, i rayban rigorosamente a specchio e i capelli schiariti dal sole che avrei dovuto tagliare già da sei mesi, che invece sventolano liberi. (erano i primi anni ottanta, se giravi con il casco fuori dalla pista ti prendevano per il culo pure i bambini, o ti fermavano le guardie perché pensavano subito al rapinatore o al terrorista)
Passato Orte mi fermo all’autogrill per un caffè, e quando fatta benzina mi rimetto in strada, il cielo si è coperto di nuvole ma sono ancora troppo felice per preoccuparmi.
Penso che Laura la ragazza che sto andando a trovare mi ha telefonato ieri sera dicendomi che i suoi andranno a passare il fine settimana al lago; quindi avremo la casa tutta per noi, molto più comoda della cabina al mare.
Continuo a viaggiare con in faccia un sorriso ebete, non immaginando che sarà l’ultimo per questa giornata.
All’improvviso vengo investito da un muro di pioggia, quasi solido. Non ha iniziato a piovere con qualche goccia per poi aumentare, ma è come se fossi finito sotto una cascata, l’acqua è dappertutto ed è diventato improvvisamente buio, eppure dovrebbero essere le undici di mattina, ho rallentato a quaranta chilometri l’ora, finalmente intuisco più che vedere un cavalcavia e mi ci fermo sotto, ci sono già due motociclisti che mi guardano ed uno mi fa segno con il pollice se è tutto a posto, rispondo con lo stesso segno e mi comincio a rendere conto che sono completamente bagnato. L’acqua si è infilata dentro agli stivali e sotto la giacca è come se fossi caduto in piscina vestito.
I due motociclisti probabilmente impietositi dal mio stato di uomo in ammollo, si avvicinano e mi rendo conto che sono vestiti come i palombari, indossano delle tute complete impermeabili, che con le loro moto BMW carenate gli permettono di viaggiare sotto la pioggia senza bagnarsi; sono tedeschi!
Uno mi offre una fiaschetta di metallo e mi fa segno di bere per scaldarmi… Sambuca?
Io mi aspettavo chissà quale acquavite nazista e invece è sambuca!
Cerco di prendere una sigaretta dal pacchetto che ho nella tasca interna della giacca, ma tiro fuori una palla fatta di acqua tabacco e carta. Uno dei due mi lancia una scatoletta di metallo, la apro e dentro c’è un pacchetto di sigarette, asciutte, ne prendo una e gli restituisco la scatolina, ma lui mi dice a gesti di tenerla, ringrazio. (Quella scatolina di metallo cel’ho ancora, ma mi dimentico sempre di prenderla, e ogni volta che in moto mi piove addosso le sigarette continuano ad affogare)
I due tedeschi che si erano fermati solo per mettere una cerata sui borsoni che portano legati alla sella, si infilano i caschi e ripartono incuranti della pioggia.
Io resto solo, seduto per terra sotto un ponte dell’autostrada, completamente bagnato, ma almeno ho le sigarette inscatolate che riesco pure ad accendermi con il fedele Zippo.
Intanto il diluvio continua.
Passa un quarto d’ora ed il tifone è passato, prima di ripartire aspetto ancora un po’ per far andare via l’acqua dall’asfalto con il passaggio degli altri mezzi, e poi, ancora bagnato come un pulcino mi rimetto in strada.
I trenta chilometri che mi servono per arrivare a Orvieto si dividono in tre fasi diverse con relativo stato d’animo:
Prima fase, ho freddo e mi chiedo perché non sono rimasto a casa. Magari pomeriggio uscivo con gli amici e magari beccavamo qualche turista carina e disponibile...
Seconda fase, i jeans mi si stanno asciugando addosso, ho ancora voglia di tornare indietro. Però anche andare avanti mi attira, passare tutto il fine settimana con Laura e i suoi giochini...
Terza fase, mi sono trasformato in un guerriero medievale che sta tornando a casa dopo la guerra che lo ha visto vincitore, e a casa riceverà tutte le cure le attenzioni e le coccole che gli spettano dalla sua donna, e lui le racconterà orgoglioso come ha affrontato tutte le insidie del viaggio per tornare da lei, e lei lo guarderà con gli occhioni sognanti per poi accoglierlo tra le sue braccia e condurlo nell’estasi più grande.
Esco al casello di Orvieto, al primo bar mi fermo per telefonare a Laura e farmi dare le indicazioni sulla strada da fare per raggiungerla, e, lei parlando a bassa voce, mi dice “purtroppo con questo tempaccio i miei non sono più partiti, e devo stare con loro che nel pomeriggio andiamo a trovare mia nonna, ci risentiamo e semmai organizziamo per la prossima volta”. Io faccio lo splendido e le rispondo che non c’è problema, tanto mi sono fatto una passeggiata in moto... Ma quello che vorrei dirle è che è una stronza, io ho viaggiato per mezza Italia, ho attraversato il mar Rosso senza che mi aprissero le acque e lei senza scomporsi mi dice purtroppo i miei... Ma vaffanculo stronza!
Sono passate da poco le dodici e mezza, dallo stesso bar telefono a casa mia, risponde mia madre e le dico :
Hai già preparato il pranzo?
Lei: Sto per buttare giù la pasta..
Io: Fanne un piatto anche per me
Lei: Hai detto che stavi fuori due giorni.
Io: Ho cambiato programma verso le due sono a casa
Lei: Va be’ tela lascio in caldo
Rientro al casello dell’autostrada e mi rimetto in viaggio verso Roma, non ho più il sorriso di stamattina sono ancora bagnato e ho pure un po’ freddo, però mi sento tranquillo, il California lascia dietro di se una scia di rumore regolare e mi regala delle morbide vibrazioni, intanto le nuvole stanno andando via e si rivede il sole.
Sorpasso un pullman di turisti e delle ragazze dietro al finestrino mi salutano, rispondo al saluto e nella mia sindrome di autocompiacimento immagino....