Da
Playa del Carmen a Chicen-Itzà
Se
siete stati in Messico vi sarà probabilmente rimasto
dentro per sempre qualcosa di indefinito che di tanto in tanto
riaffiora, rallentando i vostri tempi e i vostri pensieri.
Dopo
sette anni (un numero magico) divisi equamente tra Italia
e Messico, Roma e Caribe, Colosseo e Piramidi, ho rinunciato
definitivamente a capire questo potere occulto che mi attrae
e respinge allo stesso tempo. Del Messico ho capito sulla
mia pelle che non ci si può mai liberare del tutto:
non è solo amore, è amore/odio, un rapporto
sempre incompiuto che ti lascia a volte con l’amaro
in bocca, altre volte ti sorprende piacevolmente, come in
fondo sa fare giorno per giorno questa “pinche vida”,
che vale sempre la pena vivere.
Molto spesso si giudica solo dalle apparenze, e nel caso dei
carabi messicani credo che questo accada alla maggior parte
dei distratti turisti che arrivano con le-pinne-le-maschere-gli-occhiali
a bordo di charters strapieni. Pochi sanno o hanno voglia
di cercare al di là della bianchissima spiaggia e del
villaggio con tutti i confort. In realtà lo Yucatan
non è solo una destinazione turistica in rapidissimo
sviluppo, ma un luogo da sempre sacro ai maya dove si sta
manifestando in tutta la sua cruda realtà una profezia
iniziata migliaia di anni fa: la lotta per la conquista degli
spazi tra l’uomo e la natura. Ma anche la vittoria della
lentezza sulla velocità. I maya infatti insospettabilmente
hanno qualcosa di molto profondo in comune con tanti bikers:
sanno apprezzare la lentezza, e ascoltare le vibrazioni, rimanendo
così legati al lamento vitale della madre terra come
attraverso un continuo tam tam.
Quest’anno
tutto sembrava esattamente simmetrico al mio primo viaggio
in Messico: incontravo sulla spiaggia persone conosciute nel
97, ero tornato ad aiutare mio fratello alla Posada Barrio
Latino, addirittura mi entrava di nuovo il costume di quei
tempi, che era rimasto forzatamente rinchiuso nel cassetto.
Dallo stesso cassetto uscivano uno alla volta ricordi e progetti
ormai accantonati, come quello del “Grateful run”
uno “strange long trip” ispirato dai Grateful
Dead. Ogni cosa si stava allineando sistematicamente, come
parentesi che si chiudono. Finalmente poi è arrivato
il mese di marzo, il mese più magico dell’anno.
E’ tornato l’Abuelo, uno sciamano Huichol di 108
anni, che è giunto a Playa del Carmen dal deserto del
Nayarit, dopo un lunghissimo viaggio. Ho avuto l’onore
di partecipare a una sua cerimonia nella selva, in una notte
di luna piena, in cui la Natura ha parlato una lingua sconosciuta
eppure ha lasciato a ciascuno di noi un messaggio ben chiaro.
Avevo ancora dentro il mio corpo la “medicina”
del marakamè quando da Roma sono arrivati anche Geronimo
e Alessandra. In pochi giorni altre cose si sono allineate.
Dovete sapere infatti che solo da poco tempo a Playa vive
un finlandese. Prima di fermarsi Eikka ha girato il Sud America
in moto, poi ha pensato bene di investire i suoi soldi in
qualcosa che avesse a che fare con la sua passione più
grande e non gli impedisse di passare gran parte del tempo
in spiaggia. Adesso affitta HD. Seduti al Cafè de la
Luna sorseggiando una Modelo Especial ghiacciata abbiamo cominciato
a parlare di moto, di viaggi e di altre cose altrettanto mistiche.
L’Equinox Run è nato così: partiremo da
Playa del Carmen la mattina del 22 marzo per raggiungere il
sito archeologico di Chicen-Itzà dove in occasione
dell’equinozio di primavera si riuniscono ogni anno
decine di migliaia di persone per osservare l’ombra
del sole disegnare il serpente piumato sulle scale del Castillo,
l’imponente piramide.
Il giorno dopo ci troviamo all’ufficio/officina della
Harley Adventures, giusto sulla Carrettera Federal, equidistante
da un locale di lap dancers con pochissime pretese e dal deposito
della Cerveceria Modelo. Ci viene incontro il baffuto velador
che non prova nemmeno a nascondere i segni dei fili dell’amaca
che gli disegnano un comico effetto ragnatela sul volto bruciato
dal sole. Tra le moto di Eikka la mia scelta cade subito sull’unica
che non affitta mai, il Mad Max, uno sportster dal carattere
marcatamente racing, tutto nero opaco con supertrapp alti
(che mi hanno lasciato un bel ricordo sul polpaccio destro..),
puntale aerodinamico, ruote grosse e lisce, e un misto di
ricambi di ignota provenienza, identificato “a norma
di legge” da una piccola targa di cartone scritta col
pennarello (meglio non investigare…). Le altre moto
(un Fat Boy 1450 2004, una Heritage Classic 1340 con l’inevitabile
hape hanger, un’altra Heritage 1600 arancione targata
New York “rimasta” in Messico, due 883R e il 1200
custom che guiderà Geronimo) vengono assegnate agli
altri bikers provenienti da Italia, Argentina, Germania, USA,
Finlandia. C’è da dire che in buena onda Eikka
ha fatto prezzi scontati a tutti.
La mattina alle 6,30 noto con piacere che la pioggia che per
tutta la notte aveva messo a dura prova la tenuta del tetto
della palapa dove dormivo ha lasciato il posto a un sole che
già dalla prime ore della mattina scalda non poco,
rendendo presto superfluo il bellissimo giubbotto che avevo
ricevuto in dono direttamente dall’Italia per Natale.
Ci muoviamo svegliando il pueblo, ancora deserto dopo la rituale
sbornia del sabato sera, con gli scarichi che cantano in coro
l’inno alla libertà non omologata.
La
strada in cemento fino a Tulum, i nostri primi 67 km, è
liscia come l’olio, forse perché è stata
costruita con i pesos dei narcos che in cambio hanno ottenuto
la rimozione dei posti di blocco dei Judiciales. Facciamo
il nostro primo rifornimento alla pompa della Pemex, scambiando
battute mischiamo inglese, spagnolo, itagnolo, poi per fortuna
la parola torna ai Twins.
Sosta
a Tulum; Geronimo e Alessandra
La strada che unisce Tulum a Coba è una ferita che
squarcia una vegetazione brulla, dove i pochi terreni spianati
sembrano coltivazioni di pietra cui l’uomo a fatica
ha strappato solo un po’ di spazio. I pochi villaggi
che incontriamo sono davvero poveri, ci danno la dimensione
di cosa voglia dire sopravvivere a pochi chilometri dallo
sfavillante mondo dei villaggi: qui primo e terzo mondo sono
maledettamente imparentati, non c’è un fiume
da guadare, e le speranze di migliorare affogano direttamente
nella tequila prima ancora di provarci.
Sulla strada per Cobà a cavallo del Mad Max
Il nostro cammino è frequentemente rallentato dalla
presenza di topes, ma quando più tardi avremo occasione
di dare un po’ di manetta la presenza di profondissime
buche nell’asfalto sottile ci imporrà di tenere
gli occhi molto ben aperti e di segnalarci continuamente a
vicenda quelle più insidiose, viste spesso all’ultimo
momento. Un misto di divertimento e tensione che ci farà
salutare con soddisfazione l’arrivo alla cittadina di
Valladolid.
Parcheggiamo le moto nella piazza spagnoleggiante sotto un
sole reso ancora più insopportabile dai pantaloni lunghi
(che non indossavo da mesi), dal casco (obbligatorio solo
da pochi giorni) e dal riverbero dell’asfalto. Ma la
sosta è dedicata al pranzo sotto un portico all’ombra,
quindi tra tamales, tacos e quesadillas recuperiamo rapidamente
le forze. Ripartiamo con ancora il sapore del chili muuuy
picante sulla lingua, e solo pochi chilometri dopo facciamo
nuovamente sosta, questa volta per visitare un cenote, ossia
una piscina naturale di acqua dolce, caratteristica della
Penisola dello Yucatan che ne è piena.
A
Valladolid… se magna
Il cellulare torna a funzionare, regalandomi così un
sms dall’Italia che virtualmente basta ad occupare il
posto rimasto vuoto sulla mia sella. L’inchiostro qualche
strato sotto la mia pelle coperta di vaselina brucia col sudore,
si deve ancora seccare, ma senza bisogno di rileggerle sento
pulsare le parole “Siempre Amor y Libertad”.
Con una manciata di pesos compro senza tirare sul prezzo una
bella testa di giaguaro intarsiata nel legno wengé
(una sorta di tek) che conserverò come ricordo del
run.
Mentre
la coppia di tedeschi ed Eikka con la sua bionda ragazza americana
nuotano ancora nel cenote mi regalo un’ottima insalata
di frutta preparata sul posto da due angelitos, i bambini
maya. Non mi preoccupo del pericolo dell’ameba…
perché ce l’ho gia!!
Finalmente possiamo ripartire, il sole è già
praticamente perpendicolare e dovremmo arrivare in tempo prima
che l’ombra si completi, di tutto il resto posso fare
benissimo a meno. Per di più il cielo si sta annuvolando
minacciosamente, come capita spesso all’interno. Andiamo
tutti un po’ più veloci, divertendoci ancora
come bambini.
Un
freddo vento spettina già gli alberi quando arriviamo
al bivio per Chicen-Itzà, presidiato dai Maggiolini
e dalle Electra bianche della Policia di Merida. Mi fermo
per segnalare la svolta agli amici che ricompaiono superando
il dosso e incrocio lo sguardo pigramente curioso di uno “sceriffo”
che ci osserva mentre passiamo col nostro improbabile repertorio
di targhe. Poche centinaia di metri più tardi tra lampi
e tuoni si scatena il diluvio. Facciamo giusto in tempo a
tornare indietro verso un rancho, dove i nostri cavalli di
ferro rimarranno parcheggiati più di un’ora in
attesa che spiova, trovando riparo proprio accanto a un cavallo
in carne ed ossa (più ossa che carne..).
Cavalli di ogni razza e colore al riparo dalla pioggia
Viene
a trovarci il silenzio. In lontananza adesso si possono sentire
i tamburi rituali che incessanti cercano di intimorire il
dio Chaack, considerato responsabile della pioggia. Chi dorme
tra le braccia della compagna, chi fuma il fumabile stordendosi
un pò, chi mangia galletas al cioccolato, chi rincorre
una iguana grossa come un coccodrillo, chi pensa all’ennesimo
rientro a casa (ma casa dov’è?). Tutti però
sembriamo percepire la magia del posto, immaginare cosa ci
aspetterà una volta nel sito al cospetto della storia
di questa terra di cui stiamo entrando a far parte nostro
malgrado… entrare nella leggenda a cavallo di mezzi
leggendari….
Tutto sommato non capita tutti i giorni: quanti italiani saranno
arrivati fin qui su un HD?
Sono quasi le tre del pomeriggio quando dopo averlo spinto
nel fango il Mad Max accetta brontolando di ripartire. L’ingresso
del sito è a poca distanza: leghiamo le moto e attraversando
grovigli di immensi alberi millenari e resti di colonnati
forse più recenti raggiungiamo l’enorme spiazzo
della piramide, affollato di una moltitudine di hippies, mistici
e turisti, molti dei quali vestiti completamente di bianco.
Il cielo è purtroppo ancora talmente nuvoloso che non
riesce a passare nemmeno un raggio di sole. Non rimane che
appoggiarsi alla parete della piramide e “sentire”.
Poco dopo arriva un gruppo di figuranti, truccati come i maya
di un tempo. L’incenso profuma l’aria mentre suoni
preispanici catturano l’attenzione del mio cervello
che stava viaggiando lontano. Doveva essere davvero impressionante
partecipare a queste cerimonie che ribadivano il potere degli
eletti, radunando al proprio cospetto migliaia di persone
adoranti e anche intimorite dai tantissimi sacrifici umani…
Equinozio nuvoloso a Chicen Itzà
Rassegnati all’idea che non vedremo nessun serpente,
cioè nemmeno la sua ombra, torniamo verso le moto un
po’ delusi. In quel momento un coro di voci all’unisono,
come un boato, ci fa voltare. Per un istante, solo un attimo,
il cielo si è aperto regalando ai presenti lo spettacolo
che era stato tanto fiduciosamente atteso….
A questo punto non rimane altro che riprendere la via del
ritorno: ci ripromettiamo di fare più strada possibile
con la luce pensando a quelle buche sulla via per Cobà,
ma mettendo in moto, mi volto e ancora rinnovo il mio appuntamento
con questi luoghi e le sensazioni indecifrabili che mi hanno
raccontato.
Solo
una volta arrivati a Playa nella notte riesco a tirare un
grande respiro di sollievo: non ci vedo tanto bene e maggiolini
senza fari o “camiones” in sorpassi troppo disinvolti
mi hanno fatto stringere più volte… la sella.
Un camion della “basura” rovesciatosi poco prima
del nostro passaggio sulla Carrettera vicino Akumal conferma
i miei dubbi sulla affidabilità di queste strade, o
se non altro dei messicani alla guida, soprattutto nel week
end!
Alla fine della giornata finalmente brindiamo a noi e agli
amici che avremmo voluto con noi regalandoci un salutare Quintana
Roo, miracoloso mix di cactus, erbe e frutti locali, un assaggio
di questa terra che già da qualche giorno era diventato
un appuntamento fisso.
Sono stati 800 chilometri assaporati intensamente, 800 chilometri
di pensieri lontani, di buena vibra, un tacito patto rinnovato
con il Messico.
D’altra
parte lo stesso Pino Cacucci, che con i suoi libri è
il responsabile di tante partenze senza ritorno verso quella
magica terra, non ha trovato parole migliori di quelle di
Malcom Lowry per dire che “chi ha respirato la polvere
delle strade del Messico non troverà più pace
in nessun’altro paese del mondo”.
Ecco un altro di quei ricordi che torneranno utili per quando
ci ritroveremo con gli amici, ormai ottantenni, a mostrarci
i disegni scoloriti sulla pelle rinsecchita, seduti sulla
solita panchina, felici di andare avanti ….sempre più
lenti.
Pinche
vida… smetterai mai di sorprendermi?
LINKS
www.vadoinmesico.com
www.harleyadventures.com
www.posadabarriolatino.com
www.geronimospub.com |